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Sono sbucato alle spalle dell’imponente struttura in cui lavoro ad una distanza di circa duecento metri. Non l’ho mai vista da qui. A differenza della facciata frontale, che si presenta pulita nonostante abbia qualche graffito volgare alla base, questo suo lato B mostra mura scolorite, sgretolate e in certi tratti anche ammuffite. Ai due lati esterni hanno iniziato a dilagare persino degli arbusti strani, forse sono edere, ma non ci giurerei, sono troppo brutti. L’apparenza è tutto, è risaputo e questo castello moderno appare al mondo solo frontalmente. Osservare la mia Alcatraz voltata di spalle le toglie, in minima parte, l’imponenza e la supremazia che quotidianamente esercita sulla mia anima prigioniera e sconsolata.
Purtroppo c’è davvero poco da discutere, ma gran parte del mio irrecuperabile tempo lo trascorro là dentro a recitare per telefono copioni preconfezionati a persone tutte uguali, le quali già conoscono la risposta che vorrebbero sentirsi dare, che cercano inconsapevolmente dietro ad ogni problema, svago, diverbio e tant’altro un motivo per non soffermarsi sui propri passi, sui propri battiti di ciglia, sulle parole dette e ascoltate, sulla certezza irrevocabile che tutto quello che sono e che hanno sia rigidamente razionato, contato, allo stesso modo appunto per i prigionieri delle carceri, come me.
Nasciamo in catene, con l’esigua razione di esistenza che, sotto queste vesti terrene, ci spetta. Le catene sono i bisogni che dobbiamo soddisfare, dal bisogno di gloria, di amore, di vendetta, di attenzione, di ridere, di piangere, di baciare, di abbracciare, di ubriacarsi, di vestirsi, di lavarsi, di dormire, di nutrirsi, di dissetarsi, fino al bisogno di respirare, di vivere. Nessuno è libero, siamo tutti schiavi di qualcosa, l’uomo più libero è comunque schiavo del proprio corpo, subisce anch’egli l’inclemente signoria della sua stessa vita.
Le persone non tollerano la schiavitù del vivere ma neppure la liberazione della morte, da bravi psicotici detestano soprattutto quando entrano in contatto con questa verità. La verità per l’essere umano è letale, è il suo veleno, o per meglio dire, per l’umanità ne è l’antidoto.
Però, dopotutto, ognuno si ritrova a sperperare i propri rintocchi in circostanze che non s’è scelto, c’è chi deve affrontare gli oceani per inseguire abnormi balene bianche e chi invece è obbligato a combattere i mattini che si susseguono implacabili a bordo di un letto d’ospedale. L’uno non è migliore o più fortunato dell’altro, sono ambedue trascinati per coordinate diverse che tuttavia conducono nell’identica direzione. Perché biasimarli, tutti intendo, se non scrutano piangenti e disperati la deriva che li accoglie, l’orizzonte privo di alba e di tramonto? Buon per loro se sanno ignorare tale maledizione inappellabile, che penzola sul capo di ognuno.
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